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Fotografia: Scrivere attraverso la luce

corsi fotografiaIl termine “Fotografia” nasce dall’unione di due termini greci e vuol dire “scrivere attraverso la luce”. Per usare la luce come elemento di scrittura è necessario che questa venga catturata, imprigionata, dominata. La semplicità e l’immediatezza dovute all’attuale sviluppo tecnologico hanno fatto sì che, nella maggior parte dei casi, il procedimento di scatto venga dimenticato o, addirittura, ignorato.

Fotografare è innanzitutto interpretare: l’occhio e lo sguardo diventano gli strumenti che la nostra mente utilizza per scegliere cosa rappresentare di una determinata situazione, cosa includere e cosa escludere. Selezioniamo quindi una porzione di realtà in grado di restituire in forma tangibile un’idea, una sensazione, un messaggio.

Prima di premere il pulsante di scatto è quindi necessario operare diverse scelte, scelte che la pratica costante rende quasi automatiche, quasi istintive.

  • Decidere la quantità di luce necessaria affinché la nostra fotografia rispecchi i colori e le atmosfere della porzione di realtà che abbiamo deciso di inquadrare.
  • Scegliere qual è l’obiettivo più adatto a seconda del tipo di soggetto che abbiamo deciso di fotografare.
  • Organizzare una scala gerarchica degli elementi presenti nel “quadro” per stabilire su quali elementi dovrà concentrarsi l’attenzione di coloro che guarderanno la fotografia.

La quantità di luce che investe il sensore (o la pellicola nel caso dei puristi) può essere regolata attraverso la combinazione di due strumenti: il tempo di scatto dell’otturatore e l’apertura del diaframma. Il lasso di tempo che intercorre tra l’apertura e la chiusura dell’otturatore (quindi lo scatto vero e proprio) determina il periodo di esposizione dell’elemento fotosensibile alla luce.

Il diaframma è un meccanismo a lamelle (la cui funzione è molto simile a quella dell’iride nell’occhio umano) che contribuisce a determinare, in rapporto inversamente proporzionale al tempo di scatto, la quantità di luce e che influisce sulla profondità di campo, ovvero la zona di nitidezza accettabile attorno al punto di messa a fuoco.

Immaginiamo un rubinetto ed un bicchiere vuoto. Possiamo decidere di riempire il bicchiere in poco tempo aprendo molto il rubinetto oppure, viceversa, riempirlo in più tempo aprendo meno il rubinetto.

Altro fattore determinante nella riuscita di uno scatto fotografico è, ovviamente, l’obiettivo. Gli obiettivi vengono classificati in base alla cosiddetta “lunghezza focale”, la distanza fra il centro ottico dell’obiettivo stesso ed il piano di messa a fuoco. La lunghezza focale che corrisponde all’angolo visuale dell’occhio umano è di circa 50 millimetri. Tutti gli obiettivi di lunghezza focale inferiore vengono classificati come “grandangolari”, quelli di lunghezza focale superiore come “teleobiettivi”. La lunghezza focale influisce in modo determinante sulla rappresentazione delle distanze fra i diversi piani e i diversi elementi della fotografia. Un obiettivo grandangolare (per esempio un 24 millimetri) tenderà a dare la sensazione che le distanze fra i diversi elementi siano maggiori. Di contro un teleobiettivo tenderà a comprimere queste distanze, dando l’impressione che i piani siano più “schiacciati” e più vicini tra loro.

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